La relazione d’aiuto peer-to-peer: l’esperienza dello sportello migranti LGBT+ di G.A.G.A. Vicenza

La relazione d'aiuto peer-to-peer

Quali sono i vantaggi di un supporto alla pari nei colloqui con migranti e richiedenti asilo LGBT+? L’utente si sente più accolto nell’interfacciarsi con un connazionale appartenente alla stessa comunità? Quali buone pratiche si possono adottare?

In questi due anni di attivismo come volontario e responsabile dello sportello migranti LGBT+ di G.A.G.A. Vicenza ho incontrato più di 80 persone migranti. Ad ogni primo ingresso nei nostri spazi, le reazioni, le esigenze, ma anche i sentimenti, cambiano da persona a persona.; e poche sono quelle che, giustamente, sono disponibili condividere il proprio vissuto al volontario o alla volontaria di turno. Con il mio gruppomi sono spesso domandato come poter accorciare la distanza tra me, volontario, e l’utente e, col tempo, il nostro approccio è cambiato.
La necessità di trovare un ponte tra volontari ed alcuni utenti dello sportello migranti LGBT+ nasceva da diverse problematiche a cui i nostri volontari andavano spesso incontro. Alcune persone migranti si mostravano spesso a disagio nell’interfacciarsi con noi, soprattutto quando si dovevano affrontare tematiche sensibili o legate a un sentimento profondo di vulnerabilità. In altri casi la barriera da dover abbattere era quella linguistica. Nonostante i volontari della nostra associazione cerchino sempre di adattare la lingua veicolare a quella della persona alla quale devono fornire un supporto, questo spesso non basta. Le rispettive lingue risultano, in alcuni casi, poco accessibili e ciò può rendere i colloqui stressanti e poco effettivi. Non minore è il problema della differenza culturale; le narrazioni di alcuni vissuti risultano talmente lontani dalla realtà vissuta dalle volontarie e dai volontari volontari da essere poco comprensibili o addirittura surreali nella loro drammaticità.
Se da una parte ci trovavamo quindi a discutere quali stratagemmi adottare per risolvere queste criticità, dall’altra ci veniva avanzata una richiesta. Alcuni migranti LGBT+, che avevano precedentemente usufruito dei nostri servizi, chiedevano di poter aiutare attivamente l’associazione diventando volontari della stessa. Parafrasando le parole di uno dei volontari nigeriani, tale richiesta nasceva dal bisogno di restituire ciò che è stato dato e di aiutare i propri connazionali. Seguendo un approccio peer-to-peer, lo stesso su cui G.A.G.A. Vicenza è stata costituita, abbiamo deciso di accogliere la richiesta di questo gruppo di ex utenti, sperano di poter così risolvere anche parte dei problemi che sorgevano durante alcuni colloqui.
Alcune e alcuni di noi sono quindi stati affiancati da questi nuovi volontari di modo che ci fosse. Tuttavia, per l’utente trovarsi di fronte un connazionale e dover parlare di argomenti delicati quali il proprio orientamento sessuale e/o la propria identità di genere, può spesso risultare difficile, intimorire o addirittura ostacolare la relazione d’aiuto. È per questo che lasciamo sempre all’utente la libertà di scegliere se essere seguito anche da un altro migrante LGBT+ connazionale. In ogni caso, preferiamo accompagnare il colloquio in presenza del o della connazionale in un secondo momento.
Abbiamo osservato che quando un o una connazionale appartenente alla stessa comunità di minoranza è presente, l’utente si sente più a proprio agio nel condividere determinate esperienze o pensieri e affronta i colloqui in maniera più rilassata e serena.
Abbiamo inoltre osservato che l’utente tende in più momenti durante il colloquio a dimenticare che la persona con la quale sta parlando proviene dallo stesso paese d’origine. È come se non potesse concepire di trovarsi davanti un o una connazionale LGBT+, al punto che si ritrova a spiegare le dinamiche culturali e sociali del paese d’origine e la concezione e le leggi riguardanti l’omo-bi-transessualità come se si trovasse di fronte ad una persona totalmente estranea alla sua realtà. Succede così che l’utente dica “il mio paese”, “la mia cultura”, “la mia gente” ecc., e che il volontario o la volontaria connazionale corregga dicendo n “il nostro paese”, “la nostra cultura”, “la nostra gente”.
Questa particolare dinamica ha portato alla conclusione che non sia sufficiente che il volontario sia un connazionale LGBT+ per abbattere la barriera che in alcuni casi viene a crearsi tra utente e volontario, proprio perché quelle esistenze in molti paesi sono negate e cancellate, al punto che, anche nel momento in cui una persona dichiara di essere LGBT+ e proveniente dallo stesso paese d’origine, questa affermazione sembra impossibile.
L’inserimento di nuove e nuovi volontari-e connazionali duranti i colloqui dello sportello ha risolto gran parte delle criticità rilevate all’inizio dell’attività. La barriera linguistica non risulta più un problema ora che gli utenti hanno la possibilità di esprimersi anche attraverso la loro prima lingua o la variante locale della lingua veicolare da loro utilizzata. Chi richiede il supporto del nostro sportello acquista più velocemente fiducia nei confronti del gruppo dei volontari e inizia dunque ad identificare la nostra sede come un luogo dove sentirsi al sicuro e accolto.
Nicola N.
G.A.G.A. Vicenza