Il giornalista Marcello Veneziani commenta su “La Verità” la recente sentenza della Corte di Cassazione che riconosce la legittimità della richiesta d’asilo per orientamento sessuale e identità di genere anche nei casi in cui la persecuzione non sia compiutapubblicamente dallo Stato, ma anche nel “privato” dall’ambiente familiare. Proponiamo una lettura tra le righe di un discorso che alimenta un pericoloso immaginario xenofobo e omofobo.
Commentando la sentenza della Corte di Cassazione del 23 aprile 2019 che definisce la legittimità (e l’obbligo, aggiungerei) delriconoscimento dello status di rifugiato per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere anche nei casi in cui il paese di origine non preveda leggi punitive o discriminatorie, ma dove invece la persecuzione è agita da soggetti “privati”, tra cui in primis la famiglia, Marcello Veneziani, giornalista, saggista e opinionista destrorso e reazionario, sulle colonne de “La Verità” offre una dimostrazione da manuale della costruzione di un discorso d’odio – i famosi hate speech – nei confronti di gay e migranti e, dunque, di migranti gay.
Si parla di “omosessuale praticante”, utilizzando un linguaggio del tutto inappropriato. Come se l’omosessualità fosse una credenza che alcune persone accompagnano con una pratica e altre no, un po’ come quando si parla di credenti praticanti e non praticanti, insomma. Si insinua che, non essendoci in Costa d’Avorio, paese d’origine del ricorrente, una legge discriminatoria, la pratica omosessuale non comporterebbe alcun ostacolo o difficoltà, si finisce sul vero punto della sentenza in discussione e contestato: la persecuzione “privata” delle persone omosessuali sarebbe solamente una scusa, un alibi per aprire un canale di arrivo per nuovi migranti in un contesto di “chiusura dei porti” e di riduzione dei diritti delle persone richiedenti asilo. Veneziani si spinge addirittura, ricorrendo alla tradizionale retorica di quel giornalismo offensivo che riduce, distorce e travisa la realtà, di sentenza “salva-gay”.
L’articolo prosegue infatti lasciando intendere che tale persecuzione “privata”, riconosciuta dalla Corte di Cassazione, altro non sarebbe che una storia di ordinaria conflittualità intra-familiare; uno scenario banale da parenti-serpenti, condito da una buona dose di ostentato “vittimismo”.
Infine, come da manuale, Marcello Veneziani qualifica la posizione “protettrice” della Corte di Cassazione di assurda e facilmente strumentalizzabile perché tale persecuzione sarebbe “indimostrabile”. Come tutti i discorsi d’odio e di ostilità nei confronti di tutte le soggettività perseguitate e discriminate dalla società bianca, virile, cisgendered eterosessuale, il nucleo centrale dell’argomentazione sta nell’idea che il racconto della violenza subita e la narrazione della vittima sia frutto, al meglio, di un’incomprensione o di una cattiva interpretazione, al peggio, di cattiva fede o masochismo – non era uno schiaffo, “solo” rabbia; non era un insulto, “solo” una parola a sproposito; non era stupro, ma un eccesso d’amore – che poi alla fine ti è anche piaciuto, vero?, e così via.
Chi ha lavorato con persone migranti, chi ha raccolto il racconto dei traumi e delle violenze vissute, chi ha visto le cicatrici sulla pelle e negli occhi di persone spezzate fisicamente e moralmente, chi ha raccolto le lacrime amare di chi, per la prima volta, si sente protetto dalla sola presenza di una voce amica e di uno sguardo di comprensione, per noi che abbiamo visto quelle storie scorrere sullo schermo delle narrazioni migranti questo tipo di articoli, questi interventi assurdi che reiterano la violenza omofobica e l’odio xenofobo sono carta straccia, pura fantasia criptoleghista, mera invenzione propagandistica.
La violenza domestica è tra le prime forme di violenza che i “soggetti eccentrici” (da rileggere: Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli, 1999) subiscono per mano di chi, per primo, intercetta la diversità del soggetto, il suo essere fuori norma, fuori controllo dunque, e di chi, per primo, cerca di correggerlo a suon di ingiurie, sberle o frustate, di olio bollente, corde e isolamento, stupri riparativi e abusi sessuali, umiliazioni. La violenza domestica è quella dei padri, generi, fratelli, cugini, amici e vicini di casa, uomini in generale, ma non solo.
La famiglia è il primo laboratorio sociale di produzione della norma e dunque anche di controllo sociale, tanto nei paesi da cui fuggono le persone migranti quanto nei paesi di accoglienza, anche in Italia.
Se la Corte di Cassazione ha riconosciuto la realtà della persecuzione perpetrata nella sfera “privata” – riconoscendo quanto già indicato dalle linee guida SOGI dell’UNHCR – anche in assenza di leggi che penalizzanoo discriminano l’omosessualità, è perché quella violenza non è solo un racconto, parole al vento o storie inventate “salva-gay”, ma è scritta come un marchio e uno stigma sui corpi migranti.
Questa specie di giornale, “La Verità”, si è specializzato negli ultimi anni nel produrre discorsi d’odio nei confronti di migranti, gay, lesbiche, trans e persone diverse in generale, discorsi fondati sull’ignoranza profonda della realtà, anzi, sulla sua mistificazione. Marcello Veneziani, come Maurizio Belpietro, il direttore, o Francesco Borgonovo, questi specialisti di caccia all’eccentrico, non hanno cura di restituire la complessa e insostenibile realtà della violenza sociale. Questi giornalisti lavorano quotidianamente per fare da sponda ai discorsi politici che si nutrono di risentimento, che pompano negatività per ridistribuirla nell’immaginario sociale e dunque alimentare una visione della realtà ben lontana dal reale, una visione del tutto fake, funzionale al 34% della Lega e al 6,5% di Fratelli d’Italia alle ultime elezioni europee.
Scrive Veneziani che, dietro queste sentenze, “il proposito è allargare le maglie della giustizia, praticare brecce ai confini, far saltare filtri e freni, dare via libera la principio che le nazioni e gli stati sovrani non contano un beato fico, […] siamo cittadini del mondo e ognuno decide dove vuole vivere anche se non ha un lavoro, una casa e magari non accetta le regole del paese in cui decide di andare ad abitare”.
Diciamo noi: quella violenza l’abbiamo vista con i nostri occhi, la conosciamo perché la incontriamo e la riconosciamo nei nostri spazi e nella nostra società. Molte e molti di noi l’hanno vissuto sulla loro pelle qui, in Italia, in famiglia, a scuola, in parrocchia, al lavoro, in vacanza al mare o in montagna, al ristorante e in treno, noi sappiamo che quella violenza si chiama omofobia e transfobia.
Il discorso d’odio nei confronti di migranti e gay è il braccio destro di quella violenza e noi continuiamo a combatterla con i nostri corpi e le nostre relazioni.
Massimo P.
Sportello Migranti LGBT – Arcigay Verona